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INDEBITO - il coraggio di esistere

A volte sembra che manchi il respiro.
Che il tempo e lo spazio non abbiano luogo, speranza.
Ci hanno travolto, dicono che "ora forse tutto così non può nemmeno un po'..."
E ti svegli la mattina, cerchi di capire se c'è qualcosa, qualcuno a cui chiedere.
Eri convinto che la fatica fosse finita, che la strada potesse essere facile.
I tuoi nonni, i tuoi padri, le case, gli stipendi, le auto metalizzate, fino alla porta USB dell'autoradio.
Tutto era a posto.
Che posto?
Ti svegli alla mattina e quel posto non è più. 
Che posto?
C'è qualcosa che manca, qualcosa che non vibra.
Pensavi di non aver bisogno di tremare.
Pensavi che la domenica al parco e al cinema fosse dovuta.
Che la settimana bianca fosse corretta.
Che il silenzio fosse necessario solo per sentirsi sicuri.
Erano il salotto e il lettore dvd che avevano il compito di funzionare. Non io.
E ora invece dicono che tutto sta scivolando.
E ancor peggio succede che davvero scivola.
Non è che non c'è lavoro, è che non c'è nemmeno l'idea di dove cercarlo.
Perchè?! C'entrano qualcosa le idee e il lavoro?
Mi pagavano, mi pagavano sempre meglio e io consumavo.
Cos'altro mi deve preoccupare?
Il colore della camicia o i decibel dello stereo.
Ma no, io dovevo fare jogging e respirare bene prima di riprendere lo scooter.
Si, lo scooter, non il motorino.
Perchè il tablet non ha bisogno di suonare, vibra.
Ed io? Perchè ora voglio vibrare anch'io?
Cosa manca?
Ma non è giusto, non doveva mancarmi più nulla.
E invece ora inizia a mancare tutto.
E la noia striscia umida tra le ossa della vita omologata.
Il silenzio ha di nuovo bisogno del suo significato.
Altrimenti scivolare sarà non solo inevitabile, ma anche lentamente pesante.
E quando sei pesante scivoli di più, scivoli peggio. E non sai cosa stringere per fermarti.

Poi d'un tratto mi guardo le mani.
Le mani hanno le rughe, conservano i segni.
Sarebbe meglio avere il coraggio di poterle sporcare.
Me lo disse un giorno un amico, un amico vero: "il manicure è l'ultimo stadio della civiltà".
Perchè ad un certo punto abbiamo voluto diventare tutti ricchi?
Perchè non abbiamo capito che la liberazione dalla povertà passava per la celebrazione della sua dignità?
Perchè ci siamo fatti rubare l'umanità del vivere semplice?
Perchè abbiamo concesso al sogno arido dell'accumulo di sostituire le emozioni della terra, dell'aria?
Mi guardo le mani.
Non sanno più contenere il dolore, esprimerlo, rappresentarlo.
Battono sui tasti del computer e scivolano sulla pelle del volante.
Coperte dai guanti d'inverno, accarezzate dai cuscini dei divani.
E allora provo ad ascoltare, a respirare.
Vibrare, nel silenzio di una musica o nel sogno di una fuga.
C'era qualcosa che sapevamo fare?
Di notte, con l'odore del legno o il buio della città.
Nello scricchiolare dei passi sul selciato, nel coraggio della solitudine.
Nel respiro di un figlio, nell'odore del mare e del gasolio di quella grande nave. Lenta.
Nel pane, nel formaggio di capra e il vino aspro.
Nei piedi scalzi che rincorrono un filo d'erba e di futuro.
Senza l'ansia di riempire, di rifugiarsi nell'identico e nella sua acquistabile copia.
Vibrare, questo ora d'improvviso posso ancora fare.
Per amare.
Per vivere.
Perchè in questa società svenduta e indebitata,
l'unico profondo debito è quello con il coraggio di esistere.
Indebiti siamo in debito di vita.

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