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Profughi si, profughi no, ma perché?

Appunti dal Veneto
Articolo pubblicato da La Nuova di Venezia, Il Mattino di Padova e La Tribuna di Treviso il 21.8.15

Profughi si profughi no, ma perché?
Competenze oltre la retorica

Sui giornali locali in Veneto sembra non ci sia nessun'altra notizia.
La mia opinione è che sia snervante e miope continuare a dividerci tra profughi si e profughi no.
Lo è per due motivi: primo perché tutti in fondo sappiamo che comunque va trovata una soluzione e non possiamo sperare di nascondere l'inevitabile fenomeno della migrazione (economica o umanitaria che sia) nel cortile del vicino e secondo perché il tempo dedicato alla discussione mediatica sul tema è tempo perso rispetto alla necessità stessa di trovare una soluzione.
Negli ultimi dieci anni ho cercato di ascoltare e raccontare le storie dei migranti, ma anche quelle dell'Italia che prova a capire come comportarsi;  così, facendo tesoro di questa piccola esperienza, propongo tre strade di riflessione pragmatica sul tema.
1. Nessuna emergenza. Dopo vent'anni di paure e urgenze, dobbiamo ammettere con chiarezza che non siamo di fronte ad un'emergenza, ma siamo nel cuore della storia e che questa storia durerà ancora decenni. Tantissime volte nei dibattiti dopo la proiezione dei miei film mi hanno chiesto "e come si risolve il problema?", quasi sperando che qualcuno possa avere una bacchetta magica per far finire gli sbarchi e far scomparire i profughi. Questa prospettiva è insensata. Le persone che vivono in Paesi più poveri o in crisi umanitaria si spostano comunque e cercano comunque di raggiungere luoghi più ricchi e più sicuri. Chiunque di noi lo farebbe, anzi molti di noi già lo fanno. Allora non crediamo più a chi dice di volerli o poterli fermare. Non ci è riuscito nessuno in vent'anni. Perché ora qualcuno potrebbe riuscirci? L'unica cosa che sono riusciti a fare è aumentare il numero di morti. 
2. "Si va bene, ma allora se vengono comunque noi come facciamo a gestirli? Non ci stanno tutti qui?" Altra idea distorta. C'è molto più spazio e ci sono molti più soldi di quanti ci vogliano far credere. E negli ultimi due-tre anni quello che sta succedendo è che questi soldi stanno aumentando. L'Europa sotto la pressione migratoria inevitabile sta mettendo sempre più fondi nella gestione dell'accoglienza. Lo fa in silenzio perché vorrebbe non farlo e perché ha paura che la notizia faccia crescere i movimenti demagogici che continuano a soffiare sulla finta parola d'ordine "bisogna fermarli". Così i Governi continuano a spingere mediaticamente sull'idea di doverli fermare (sostenendo misure che spesso sono tra le cause principali delle tragedie di cui poi ci indigniamo), ma poi, non riuscendo a fermarli, continuano ad aumentare i fondi per gestire gli arrivi. E' per questo che i dirigenti del Ministero e delle Prefetture stanno aprendo le caserme, affittando gli alberghi e aumentando in generale i posti di prima e seconda accoglienza. Perché arrivano più soldi per farlo. "E perché questi soldi vanno ai profughi mentre i nostri giovani sono disoccupati?" Altra distorsione. I soldi vanno ai tessuti sociali ed economici che ospitano i profughi. Quindi possono andare anche ai nostri giovani. "Si va bene, ma spazio comunque non ce n'è" Ma quando mai? Vi siete guardati intorno? Le nostre città hanno tantissimi spazi vuoti, dovuti al verticale calo demografico unito alla forte crescita dell'emigrazione giovanile. Non facciamo figli e quelli che facciamo speriamo possano avere un'occupazione non di fatica, ma di qualità; se da noi non c'è, meglio vadano a cercarla altrove. Così molte delle città e dei paesi che si ribellano ai profughi dicendo "no", sono in realtà sottopopolati e privi di giovani e bambini.
3. Di fronte a questo quadro mi nasce spontaneo un consiglio. Invece di dividerci in retoriche demagogiche o emergenziali assolutamente inutili, invece di fare comitati per il si e il no, avviamo un processo virtuoso di crescita delle competenze. In altri termini: se il fenomeno è inarrestabile e se i finanziamenti aumentano, proviamo ad usarli bene e trasformiamo la sfida dell'accoglienza in una sfida di civiltà e di crescita. Molti giovani diplomati e laureati potrebbero trovare lavoro nell'accoglienza, facendola diventare terreno per una trasformazione moderna delle nostre città. Lì dove i progetti di accoglienza sono stati affidati a realtà competenti e capaci hanno creato occasioni di lavoro, di sperimentazione culturale, di vivacizzazione di zone depresse. Corsi di formazione, laboratori culturali, rinascita di lavori tradizionali abbandonati dai giovani, crescita dei servizi sociali, miglioramento dei servizi alla persona e tante altre direzioni virtuose di dialogo tra società, accoglienza ed economia. Se invece nessuno nella classe politica e amministratrice propone questo percorso, ma si passa il tempo a dividersi tra vuoti si e no, inseguendo i post e i tweet più provocatori, allora spesso i fondi finiscono a operatori interessati solo al guadagno, che nel migliore dei casi finiscono per tenere i profughi parcheggiati in strutture fatiscenti. Tante amministrazioni delle città oggi in prima linea con i comitati del no, potrebbero dare occasioni di crescita e sfida civile ai propri ragazzi, se avessero il coraggio di far conoscere e diffondere competenze e pratiche virtuose dell'accoglienza. Come? Invitando chi l'accoglienza la sa fare (e in Italia come in Europa di realtà ce ne sono diverse) a formare chi ha voglia di imparare a farla.

Questo è a mio avviso l'orizzonte dentro al quale dovremmo provare a riportare la discussione. Non se siamo contro o a favore di un fenomeno inevitabile, ma se siamo capaci di far crescere le nostre capacità di gestirlo con intelligenza, creatività e umanità. Risparmieremmo tante energie e riapriremmo il futuro di tante città spesso troppo vuote e impaurite.

Nel nostro piccolo abbiamo organizzato una di queste occasioni: nell'ambito del festival Laguna Sud, sabato sera a Chioggia, una delle città venete segnate da questo dibattito, verrà ad incontrare cittadini e operatori sociali uno dei maggiori esperti nazionali di politiche dell'accoglienza, Gianfranco Schiavone. Mi auguro siano molti i chioggiotti e non solo, che coglieranno questa opportunità. Così come mi auguro che molte altre occasioni simili possano nascere nelle prossime settimane.

Andrea Segre