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LO SCIOPERO DELL'AIUTO

La notizia del giorno è che Sacha Baron Cohen e la sua fidanzata Isla Fisher hanno donato 1milione di dollari per i rifugiati: 500mila a Save The Children e 500mila a International Rescue Committee.
Mentre leggo, mi arrivano altre due mail, una di una tale Anna che invita a firmare online per aiutare l'UNHCR ad aiutare i profughi e una di Michael che invece mi ricorda che se dono entro il 31 dicembre per aiutare i profughi posso detrarmi la donazione dalle tasse.
"Ah, ecco perché Sacha Baron Cohen e fidanzata hanno donato proprio ora" penso maligno.


La gara è aperta. Il mondo ricco attraversa la sua ennesima ipocrita crisi morale e ha bisogno di qualcuno capace di aiutarlo a non sentirsi troppo in colpa.
Capita ciclicamente ogni 3-4 anni, dalla carestia in Etiopia allo Tsunami, dai profughi kosovari al terremoto di Haiti. Cause politiche o ambientali che siano, ormai poco cambia. Noi qui stiamo bene, lì si sta male e noi soffriamo per loro. Questo ormai l'equilibrio inscalfibile del mondo, l'unica cosa che cambia è il confine tra dentro e fuori (noi in Sud Europa lo sappiamo bene, scivolare dall'altra parte del confine è un attimo).
Una mia amica che lavora per Save The Children pochi giorni fa bevendo una birra ad un aperitivo romano mi ha rivelato che sono ormai talmente pieni di soldi che non sanno bene cosa farsene. Secchi di donazioni, a cui ora si aggiungono anche quelli del comico inglese.
Non ho dubbi che tanto Save The Children quanto MSF, HRW, IRC, Emergency, Oxfam & co. sapranno fare del loro meglio per mantenere una certa credibilità e troveranno il modo per aiutare centinaia di profughi, ma in queste poche righe di fine anno chiedo a loro di fare prima di ogni altra cosa un gesto fondamentale: aiutare non i beneficiari del dono (i profughi), ma i donatori (i benestanti in crisi morale, noi). Chiedo a loro di aiutarci a capire dove siamo arrivati e cosa oggi spinge anche un comico inglese a donare 1 milione di euro. Come possono farlo? Con un'azione mai vista prima nella storia dell'umanitarismo. Uno sciopero dell'aiuto. Un'azione di disperazione, una delle ultime spiagge della nostra umanità. Vorrei sentire il direttore di Save The Children insieme ai suoi colleghi ben pagati dichiarare che hanno soldi a sufficienza per aiutare, ma che non serve a nulla che siano loro ad aiutare. Perché loro possono solo curare le conseguenze quando ormai è troppo tardi e che se il mondo continuerà ad affidarsi a loro sarà sempre e solo troppo tardi. Voglio che si presentino tutti insieme, ben vestiti e ben curati, davanti ai loro amati mass media, insieme a tutti i loro amati testimonial e dicano a tutti i loro amati donatori: "Noi abbiamo tutti i vostri soldi e ora staremo fermi immobili con tutti i vostri soldi, finché voi tutti non vi arrabbierete!"
Arrabbiarsi? Perché?
Ecco tre buoni motivi:
1. Perché i nostri Governi da almeno 20 anni utilizzano soldi pubblici per bloccare, reprimere, deportare, rinchiudere centinaia di migliaia di esseri umani, che sono esattamente quelli che ora diciamo di voler aiutare
2. Perché nessuno dei nostri Governi ha mai saputo creare canali umanitari sicuri e legali per permettere la salvezza di centinaia di migliaia di esseri umani, che sono esattamente quelli che ora diciamo di voler aiutare
3. Perché tantissimi di noi benestanti donatori abbiamo sostenuto in modo diretto o indiretto scelte di chiusura, paura, discriminazione che hanno violato i diritti e le vite di centinaia di migliaia di esseri umani, che sono esattamente quelli che ora diciamo di voler aiutare

Che bella giornata di democrazia e civiltà sarebbe. Milioni di donatori messi di fronte alle proprie dirette responsabilità e non liberati da quelle stesse responsabilità grazie ai loro doni.
Chissà come reagirebbe Sacha Baron Cohen? Quante responsabilità può coprire 1 milione di dollari (sia pur detraibile)?

Questo è il mio invito per il 2016. La speranza che possa essere un anno in cui abbiamo il coraggio di capire che la nostra non è una crisi morale, ma una crisi strutturale. Siamo una società che non solo produce disuguaglianze intollerabili (frase diventata ormai quasi una banalità da sfoggiare durante comodi aperitivi urbani con amici umanitari), ma che ha anche imparato a considerarlo un destino ineluttabile, da affidare a donazioni o distrazioni.
Almeno finché non capita anche a te di cadere al di là del confine. Allora capisci e ti arrabbi, ma è troppo tardi anche per te e speri che arrivi almeno un comico inglese a salvarti.
Ma se preferiamo evitare di affidarci al comico inglese o alla sua fidanzata, allora è meglio accorgerci che la crisi di cui stiamo parlando non riguarda i profughi o i nostri sensi di colpa, ma l'impianto ingiusto della società globale e in particolare l'assenza di un welfare globale, di un progetto di redistribuzione dei redditi e dei diritti che vada ben al di là di vecchie frontiere nazionali, già da un po' sbriciolate dai mercati e dai commerci. Attenzione, non sto parlando di massimi sistemi, ma di tutti noi. Fermatevi un istante, qualsiasi cosa stiate facendo e guardatevi intorno: il 70% almeno di ciò che indossate, guardate, mangiate si dissolverebbe se voleste rinchiudervi dentro alla vostra frontiera nazionale o regionale addirittura. Allora perché voi potete avere un auto koreana o riscaldarvi col gas kazako e le vostre tasse e ancor più quelle del produttore koreano o kazako non dovrebbero aiutare un ragazzo gambiano che scappa da un paese dove si vive con meno di 20 euro al mese?

Ma non preoccupatevi, perché se non avete una risposta, penso che Sacha Baron Cohen sia assolutamente in grado di suggerirvi un modo per ridicolizzare la domanda.

Buon anno.
Andrea Segre